Una parabola per l’Europa

Settembre 22, 2014

Cosa c’entriamo, noi Europei, con la desertificazione in Africa? C’entriamo tanto, crede un ex ministro dell’Ambiente nel Benin, che ha parlato in questo fine settimana nel vertice economico europeo (European Economic Summit) ad Amsterdam.

Luc Gnacadja porta la sua fede cristiana con sé nella sua campagna contro la degradazione delle terre, promovendo lo sviluppo durevole mondiale attraverso la cura della terra e dei suoli. Nel corso degli ultimi sette anni, e stato segretario esecutivo per la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione. E un difensore appassionato della neutralità del degrado delle terre entro il 2030 per delle terre sane e produttive per le generazioni future.

Un argomento di solito lontano dai pensieri europei era portato vicino a noi dall’oratore, mentre parlava “dell’aumento della migrazione verso l’Europa.” Quest’anno (nel settembre 2014), già 100.000 migranti illegali sono stati intercettati nel loro tentativo di attraversare il mar Mediterraneo in barche, rispetto ai 20.000 dell’anno 2012. La maggioranza di questi profughi veniva dalle nazioni dell’hinterland secco d’Europa, spiegava Gnacadja: il Nord Africa ed il Sahel, il Medioriente e l’Asia centrale.

Cercavano di fuggire gli effetti di decenni di degrado che erano peggiorati con i cambiamenti climatici in crescita, quali la siccità. Queste regioni erano umanamente fra le più precarie e le più soggette ai conflitti nel mondo intero.

Erano quindi delle minacce maggiore alla sicurezza dell’Europa e creavano delle tensioni negli stati membri dell’Unione europea. Nessun muro, nessun recinto intorno alla prosperità malata d’Europa potrebbe tenere effettivamente questi profughi forzati a bada, egli diceva al suo pubblico attento. Egli insisteva che si trattava dell’hinterland secco d’Europa.

Fattori d’attrazione

Inoltre, egli aggiungeva, la maggioranza dei popoli nel mondo non raggiunti dal vangelo viveva in questo hinterland. Tutti questi fatti si aggiungevano alla responsabilità dei Cristiani europei che dovevano affrontare questi “fattori d’attrazione” della migrazione forzata.

Le terre aride non erano delle regioni marginali, egli spiegava; rappresentavano un terzo della massa continentale e della popolazione mondiale, quasi la metà della produzione alimentare mondiale, la metà del bestiame mondiale ed erano il luogo di vita della più grande diversità di mammiferi.

Accentuando ancor più il suo punto, Gnacadja spacchettò il concetto “dell’impronta ambientale”, cioè l’area necessaria per la produzione alimentare di una regione. “Le terre virtuali” rappresentavano le terre straniere necessarie per le importazioni e le esportazioni della regione. Nel caso dell’Unione europea dei 28, si tratta di un quarto del mondo, cioè creando quindi uno squilibrio enorme di terre virtuali di commercio. L’Asia, l’Africa e l’America latina erano le “terre fornitrici virtuali” principali d’Europa. Eppure un altro concetto legato a questo era quello “dell’impronta aquatica”, e qui ancora l’impronta dell’Europa, e quindi le responsabilità ecologiche, si estendevano ben aldilà dei suoi confini geografici.

I problemi dell’Africa erano quindi dei problemi d’Europa, e gli Europei dovevano considerare seriamente come investire al meglio nelle energie rinnovabili, nell’educazione, nella salute, nell’acqua, nelle foreste e nei progetti di riforestazione in questo continente. Le terre aride sono campi di missione, ipotizzava Gnacadja, un’opportunità per innovare con dei modelli d’aziende trasformazionali, una nuova frontiera dove l’Europa può impegnarsi nella co-prosperità.

I Cristiani, egli diceva, dovrebbero essere profetici. Geremia capitolo 12 parla di deserti e di terre inaridite gridando a Dio. Le terre aride erano dei campi di missione per restaurare il popolo e la loro terra, e quindi per controbilanciare i fattori d’attrazione della migrazione forzata, sentiva il pubblico.

Radici

In realtà, le agenzie missionarie nel Niger stavano sperimentando dei risultati notevoli, facendo prosperare le terre aride causate dall’uomo. Quando uno capisce la desertificazione, egli diceva citando l’Australiano Tony Rinaudo, il paese può essere restaurato. Rinaudo ha sviluppato la “rigenerazione naturale gestita dall’agricoltore” (FMNR – farmer-managed natural regeneration), letteralmente una risposta alla sua preghiera. Il suo approccio è stato riconosciuto come uno dei sistemi agroforestali più fruttuosi e più costo-efficaci al mondo.

Rinaudo realizzò che sotto ciò che sembrava un deserto arido giacevano centinaia di ceppi d’alberi seppelliti in una “foresta sotterranea”. Invece di distruggere lo sviluppo di questi ceppi, com’era la pratica comune dell’agricoltura, questa crescita indigena doveva essere nutrita. Dei campi apparentemente senz’alberi potevano contenere dei semi, dei ceppi e delle radici d’alberi vivi con la capacità di germogliare nuove spighe e di rigenerare degli alberi. La biodiversità potrebbe essere aumentata, la struttura e la fertilità del suolo migliorate, l’erosione eolica ed acquatica invertite e delle fonti secche stimolate a riapparire. Già cinque milioni d’ettari di terre nel Niger sono stati rigenerati in questo modo, nutrendo 2,5 milioni di persone con 500.000 tonnellate di nuove produzioni di cereali.

Improvvisamente, realizzai che questa era una parabola sulla desertificazione spirituale d’Europa. Sotto il paesaggio apparentemente arido del nostro continente giaceva una “foresta sotterranea” di radici spirituali seppellite. Invece di lasciare tali radici essere distrutte dagli universitari o dai politici, dobbiamo nutrirle affinché rivivano, per rigenerare il deserto e le terre inaridite.




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