Il caos delle ferrovie olandesi causato dalla tempesta di neve questo venerdì aveva ritardato l’arrivo del nuovo professore alla sua inaugurazione – cosiccome il mio e quello di mia moglie, presi nella stessa confusione di ritardi e deviazioni mentre viaggiavamo per l’Università libera d’Amsterdam.
Vestito di un cappello e di un abito lungo, il professore Dr. Govert Buijs ha preso la parola in ritardo nell’auditorio dell’università per presentare il suo oratio marcando la sua nominazione ufficiale alla cattedra Abraham Kuyper di filosofia politica. Il suo soggetto, annunciava, era “l’amore pubblico ‘agape’ come fonte per il rinnovo sociale in tempo di crisi”.
Govert ci aveva sostenuto nell’instaurazione del Centro Schuman. Tre anni fa, parlò con un piccolo gruppo di professionisti ed universitari radunati per darci dei consigli per il centro, e parlò sullo stesso soggetto. Ora, da professore, egli presentava una versione scolastica del suo discorso.
L’affermazione di Govert, che il concetto di caritas o agape, solitamente tradotto “amore”, aveva giocato un ruolo centrale, formatore nella cultura occidentale, non solo nella sfera privata, ma pure nella sfera pubblica. L’amore, argomentava, era stato una fonte d’ispirazione ed un tema formando la nostra cultura, specialmente nelle fasi critiche di sviluppo.
Implicitamente od esplicitamente, le nostre attese verso gli istituti sociali attuali sono radicati nel concetto d’agape, anche quando le dinamiche di queste istituzioni contraddicono questo valore.
Fonti forti
Citando un editorialista olandese, Govert chiedeva: “dobbiamo davvero amarci gli uni gli altri per vivere insieme da cittadini?” La sua risposta era di chiedersi se possiamo davvero vivere in comunità senza una forma d’amore pubblico, almeno in una società come la nostra che rivendica il mantenimento di norme elevate. Secondo le parole di Charles Taylor, le norme elevate hanno bisogno di fonti forti.
La parola agape era stata creata dai traduttori della Bibbia Septuaginta quando non potevano trovare una parola greca equivalente per il concetto ebraico che era stato radicato nella storia, la storia della fedeltà di Dio nel suo patto, di scegliere continuamente il meglio per l’altro.
Nel Nuovo Testamento, questo concetto era espresso nell’uso frequente della frase “gli uni gli altri”. Questo agape era concreto, per gli individui, per tutti, un impegno di libera scelta, egualitaria piuttosto che gerarchica, trasformazionale, piena di speranza e contagiosa. Questa parola divento il concetto centrale del Nuovo Testamento, il quale affermava pure che “Dio è agape”.
E questo agape si era concretizzato nella vita, nella morte e nella risurrezione di Gesù. Dio aveva fatto una scelta concreta per il popolo, aveva adottato la sofferenza, aveva aperto un nuovo futuro per l’umanità ed aveva rimesso gli individui in piedi.
Degli eco di quest’amore si trovavano in tante culture, precisava Buijs, ma era fondamentale per la tradizione cristiana.
Quindi cosa c’entra con il mondo ‘reale’, duro, competitivo modellato da Machiavelli o Hobbes? O da Nietzsche, che diffidava agape per un mondo diretto dall’amor proprio? Adam Smith non aveva introdotto il capitalismo mondiale attuale implorando l’interesse proprio del “macellaio, del birraio e del panettiere”?
Buijs esortava il suo pubblico di leggere il contesto dell’affermazione di Smith da vicino per scoprirvi una preoccupazione calvinistica di servire l’interesse personale dell’altro, in ciò che chiamava “l’opera di misericordia” di Smith.
La rivoluzione Agape
Facendo appello a sette panelli murali, Le sette opere di misericordia, dipinti dal suo omonimo Cornelis Buys nel 1504, il nuovo professore ricordava ai suoi ascoltatori il ruolo centrale che la misericordia/carità/amore/agape aveva giocato nella sfera pubblica nel passato. In un po’ più di un ora, un discorso ben più lungo dello spazio che abbiamo qui, affermava che una rivoluzione agape aveva dato nascita, modellato ed influenzato ogni tipo d’istituzioni nel cuore della società occidentale.
Era il caso delle associazioni volontarie, il terreno sociale o la società civile, cosiccome delle comunità monastiche, anch’esse basate sul patto ( comunità agape) erano le pioniere in qualità di riparo per i malati, i nudi, gli affamati, gli assetati, i senzatetto e gli stranieri. Tali modelli si sono sviluppati nelle città-stato dell’Italia settentrionale e del nordovest Europa, degli spazi di libertà, di parità e di dignità, i quali più tardi avevano spinto Erasmo a notare: che cos’è una grande città se non un grande monastero?
Un affresco nel municipio di Siena, spiegava Buijs, rappresentava come la speranza, l’amore e la giustizia erano delle virtù essenziali per la vita piacevole in comunità. Forse le crisi attuali in Europa potrebbero svegliarci verso una nuova rivoluzione agape.