Nel corso dell’Avvento, celebriamo l’Incarnazione, la missione di salvezza di Dio per il Pianeta Terra. È un occasione buona per chiederci fino a che punto seguiamo fedelmente l’esempio del Bambino diBetlemme, mentre ubbidiamo al comandamento della sua missione.
La settimana scorsa, abbiamo riflettuto sulla domanda fatta dai media dopo il recente assassinio di un giovane Cristiano americano cercando di entrare in contatto con gli abitanti delle Isole di North Sentinel nell’Oceano indiano: “I missionari fanno più torti che bene?”
Pierre, un buon amico e collega, ha risposto all’articolo dicendo che, anche se era d’accordo con il suo punto globale (che nonostante i numerosi sforzi missionari a fin di bene ma sbagliati, il movimento missionario ha avuto un influenza estremamente positiva, eppure spesso sconosciuta, sullo sviluppo della società umana), noi missionari, ed evangelici in particolare,abbiamo spesso perso la profondità della missione che l’incarnazione richiedeva.
Perché la Grande Missione di Matteo 28 ci dice il “che cosa” dobbiamo fare ed il “dove”, ma troppo spesso abbiamo dimenticato il “come”, del quale leggiamo in altre dichiarazioni di Gesù.
“Cosiccome il Padre mi ha mandato, vi mando nel mondo.” Gesù fa questa dichiarazione per la prima volta in una preghiera in Giovanni 17:18, qualche giorno prima della sua morte, e poi, qualche giorno dopo la sua risurrezione mentre incarica i discepoli in Giovanni 20:21.
Qualche anno dopo, Giovanni scrive nella sua prima lettera una terza dichiarazione simile, attestando ciò che è successo da allora: “Quale egli è, tali siamo in questo mondo.” (1 Giovanni 4:17)
La Grande Missione è scritta in termini di obiettivi geografici (“andate per tutto il mondo”). Pierre rileva che l’organizzazione missionaria, alla quale io e lui facciamo parte, evidenziava lo scopo di spandersi a livello mondiale in tutte le regioni. La sua apprensione è che ridurre il movimento missionario soltanto alla Grande Missione “apre la porta a 1°) l’idea che veniamo da una civilizzazione superiore, e 2°) a tante forme di colonizzazioni. Questa è la posizione della Cristianità che è stata ampiamente giudicata e respinta dal mondo occidentale poiché inadeguata ed una fonte di supremazia economica continua in tante parti del mondo che abbiamo impoverito.”
Ancora sotto choc
Gesù aveva dato la sua Grande Missionesubito dopo la risurrezione ad un gruppetto di discepoli scossi ancora sotto choc dopo gli alti e bassi emozionali degli ultimi giorni. Erano perfettamente consapevoli del sacrifico estremo fatto dal loro maestro, e che forse stava per essergli richiesto di fare un altro sacrificio (e tanti lo fecero). Pierre avverte del pericolo per noi che, distanti due mila anni, leggiamo l’incarico di missione fuori dal contesto d’incarnazione, d’inculturazione e di contestualizzazione.
Paolo descriveva il sacrificio d’incarnazione usando la parola kenosis (dal greco κένωσις, kénōsis, letteralmente l’atto di svuotare) nella sua lettera ai Filippesi, nel capitolo 2, versetti 7 e 8: (Gesù) svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.
Pierre osserva che “per venire nel mondo, Gesù ha lasciato alle spalle quel luogo di familiarità che era suo e dove la sua gloria era riconosciuta. In altre parole, ha lasciato il prestigio della sua cultura religiosa per diventare un uomo secolare, un uomo tra gli uomini. Per trent’anni, nessuno a Nazareth o nelle campagne circostanti, sapeva che Dio stava vivendo in mezzo a loro, sul retro del negozio del carpentiere. Una discrezione totale dov’era conosciuto solamente dalla sua famiglia come figlio e fratello di, e dal suo commercio, come carpentiere. Un auto-identificazione completamente secolare. E questo quadro umano era idoneo per contenere la pienezza di Dio.
“Il primo principio dell’incarnazione non dovrebbe quindi essere di lasciare alle spalle la nostra identità, la nostra cultura e la nostra gloria religiosa invece di vantarsene?” egli chiede.
Grazia e verità
L’apprensione di Pierre è “che continuiamo di difendere la Cristianità con una risposta basata sulla paura contro la critica contemporanea, invece di riconoscere umilmente il carattere peccatore della colonizzazione alla quale noi siamo associati eallaquale siamo stati e continuiamo ad essere complici. Abbiamo spesso perso la profondità della missione che l’incarnazione richiede, l’andare “nel mondo” che è culturale, sociale e politico.”
Mercoledì scorso, in occasione della Colazione di preghiera del Parlamento europeo, ho raggiunto 400 Europei, ingaggiati nella politica e la vita pubblica radunati a Bruxelles per l’amicizia e la preghiera. Abbiamo meditato insieme su cosa significava per noi incarnare il carattere di Dio, mentre seguiamo “l’unigenito del Padre, pieno di grazia e verità” (Giovanni 1:14).
Per tanti, Natale è il tempo di abbuffarsi con ottimi piatti. Per Gesù, l’Incarnazione era il grande svuotamento.