Quando il mio figlio più giovane presentò sua futura moglie a mia madre di oltre 90 anni via Skype, la prima domanda fu: “E cosa studi, cara?”. “Teologia”, lei rispose. “Mah, che noia!” esclamò spontaneamente mia madre. Mamma era per la pratica e l’esperienza invece della teoria.
Per tanti di noi, la teologia era la cosa dei sermoni fastidiosi, dei litigi e divisioni di chiesa, e dei lunghi ranghi di tomi legati di cuoio nell’ufficio del pastore, tutti molto lontani dalla vita quotidiana dal lunedì al sabato.
Una parte della reazione di mia madre è persistita nel mio atteggiamento nel corso degli anni. Avevo provato ad avvicinarmi allo studio teologico, scegliendo temi e termini di base qua e la, e avevo studiato (e insegnato) dei corsi di studi biblici. Ma anch’io, avevo preferito la pratica e l’esperienza, volendo capire come fare una differenza nel mondo che ci circonda.
Tuttavia, mentre preparavo il corso intensivo di questa settimana, per il programma di master in leadership di missione e negli studi europei, nel quale il Centro Schuman è in partenariato con il ForMission College, fui sensibilizzato dalla rivoluzione in corso nei circoli teologici nel corso degli ultimi decenni. Il nostro soggetto è la teologia contestuale, la quale significa capire il messaggio cristiano e la sua pratica in un contesto locale specifico.
Cosiccome la chiesa primitiva dovette uscire dal suo quadro giudaico dal cui era uscito per attingere il mondo, la chiesa contemporanea è dovuta uscire dal quadro occidentale per diventare una chiesa davvero mondiale, liberata dai presupposti occidentali modernisti.
Per circa cinque secoli, la Riforma fu considerata dai protestanti come la norma per la teologia e le strutture ecclesiastiche. Questi presupposti furono esportati con le missioni, insieme a comprensioni dottrinali vitali, con le correnti confessionali occidentali e le loro giustificazioni teologiche e diventarono parte dei modelli trapiantati del cristianesimo. La teologia, da soggetto di studio, s’ispirava dall’illuminismo che considerava come conoscenza pura, espressa da proposizioni. Le denominazioni e le organizzazioni sentirono il bisogno di stabilire delle affermazioni di fede e ciò apri la porta a numerosi conflitti e numerose divisioni.
Liberazione della teologia
Sin dagli anni 1960, quando la decolonizzazione permise ai pensatori non occidentali di pensare fuori dagli schemi, delle prospettive culturali e teologiche furono sviluppate. Le teologie delle chiese occidentali erano considerate come prodotti del loro contesto e del loro tempo, con certi presupposti e angoli morti. Dei Latinoamericani quali Orlando Costas, Rene Padilla e Samuel Escobar furono fra i primi a contestare le letture occidentali delle Scritture e a denunciare gli angoli morti protestanti, in particolare sulle questioni di giustizia, di razzismo, di politica, d’economia e d’organizzazione della chiesa.
La mondializzazione crescente, sia della chiesa sia della cultura internazionale, creò nuovi compagni di conversazione, spezzando l’egemonia del pensiero occidentale. Lesslie Newbigin e David Bosch furono due voci di primo piano, con una formazione occidentale e un’esperienza del mondo maggioritario che rimisero in discussione i presupposti culturali e temporali occidentali. Bosch capì che un cambiamento di paradigma nel pensiero teologico si produceva tramite i teologi del mondo maggioritario insistendo sul fatto che la missione, la teologia ed il contesto formavano una relazione triangolare. Certi chiamarono questo cambiamento ‘la liberazione della teologia’.
La teologia contestuale sovverte la comprensione gerarchica ed elitista, che la teologia è riservata ai professionisti. Si concentra sul livello locale e include tutta la comunità cristiana nel lavoro dello sviluppo della teologia. Inizia dal basso, con il locale, il particolare ed il concreto, invece del livello superiore con ‘verità proposizionali’. Cosiccome Dio si è contestualizzato in Gesù Cristo, in un periodo e luogo particolari, ogni missione era intrinsecamente contestuale.
Ciò conduce alla relazione tra la chiesa locale e la sua località. In modo generale, la teologia sistematica non fa domande sul distacco tra la chiesa e la cultura. La teologia contestuale fa la domanda: a cos’assomiglia il regno di Dio in questo contesto? E qual è il ruolo della chiesa per portare questa trasformazione.
Ascoltare, discernere, vedere
Una cultura di chiesa locale si è sviluppata in cui la chiesa è il luogo dove la gente viene da vicino o da lontano per partecipare alle attività di chiesa, con poco coinvolgimento con il quartiere. È spesso una cultura centrata sulla chiesa, catturata da una mentalità ‘consumatore-cliente’ che proviene dalla mentalità dominante del mercato.
La teologia contestuale accetta la missione della chiesa di essere una buona novella nel quartiere, in particolare per chi è ai margini della società. Ciò significa ascoltare la comunità, un esercizio difficile per chi fra di noi è un’attivista abituato a parlare e a dare risposte. Include la comprensione che Dio è già attivo nei nostri quartieri. Dobbiamo imparare a discernere la sua presenza e la sua attività nascosta e a cooperare con ciò che egli già fa. Ciò significa aspettarsi a vedere Gesù nella vita ordinaria, quella di ogni giorno, non solo nelle attività ‘sacre’ dei luoghi ‘sacri’.
La teologia contestuale è un cammino verso l’incontro con Gesù e gli altri. Esigente, ma non noiosa.